Journal De Bruxelles - Craig gay, 'l'immagine macho? Sfido me e il pubblico'

Craig gay, 'l'immagine macho? Sfido me e il pubblico'
Craig gay, 'l'immagine macho? Sfido me e il pubblico'

Craig gay, 'l'immagine macho? Sfido me e il pubblico'

Guadagnino, 'film non è scandalo ma storia d'amore e solitudine'

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(dell'inviata Alessandra Magliaro) Preceduto dalla fama di film 'scandalo', ad alto tasso di sesso gay, come da estrazione letteraria del romanzo di William S. Burroughs, si svela oggi al pubblico della Mostra del cinema di Venezia il nuovo film di Luca Guadagnino, Queer, con l'ex James Bond Daniel Craig nei panni di uno scrittore expat americano nella Città del Messico sordida degli anni '50, dipendente da sesso e oppiacei, che perde la testa per il giovane Eugene Allerton (Drew Starkey), un incontro che diventa attrazione fatale. "Volevamo che sembrasse reale, toccante, naturale anche se sappiamo che niente di ciò che accade sul set è intimo, decine di persone ti guardano. E così per rompere la tensione abbiamo ballato, poi il resto è arrivato. Drew è un attore meraviglioso, fantastico, e noi ci siamo fatti una risata. Abbiamo cercato di renderle divertenti" dice Craig sulle scene di sesso con Starkey. Archiviato il tema sesso si parla di tutto il resto, della ricostruzione dell'epoca, con costumi meravigliosi, e della storia raccontata da Burroughs (in Italia pubblicato da Adelphi nel 1985 con il titolo Checca) che da anni e anni Guadagnino voleva far diventare film. Con una produzione importante, girata in parte a Cinecittà, realizzata dallo stesso regista con la sua società Frenesy e da Lorenzo Mieli per The Apartment, il film Fremantle sarà, dopo il passaggio a Venezia 81 in cui è in gara per il Leone d'oro, in sala in Italia con Lucky Red. "Quando lessi il libro di William Burroughs avevo 17 anni, abitavo a Palermo e volevo cambiare il mondo con il cinema. Quel romanzo ha segnato la mia adolescenza, ne ho cercato i diritti per anni, poi ho avuto la fortuna di lavorare con Justin Kuritzkes in Challengers e parlare di nuovo del romanzo con lui. Abbiamo deciso di tentare: i diritti di trasposizione erano disponibili ed è stata una gioia, il sogno di una vita si avverava. Questo ha una morale che vale per tutti: non bisogna mai smettere di insistere su ciò che si vuole", dice il regista di Chiamami col tuo nome all'ANSA. Guadagnino è un conoscitore di Burroughs, con Kerouac tra i padri letterari della Beat Generation. "Queer, più di Pasto Nudo ad esempio, è il mio preferito, ha questa forma stupenda, picaresca, con un protagonista che gira la notte, va nei bar, parla di continuo, intrattiene, è comico, buffo, tragico fragile, nudo e poi bam! incontra qualcuno che lo incontra a sua volta, ed è come se questo incontro fosse inevitabile, inesorabile". Al centro di questa avventura, che da Città del Messico, dalla suburra della comunità degli americani espatriati, omosessuali, bevitori, gaudenti si sposta in Sud America alla ricerca della yage, la radice che dà la telepatia, c'è però la grande solitudine allucinata e tossica del protagonista Craig. "Il filosofo György Lukács diceva 'essere uomini, essere umani significa essere soli', e la mia amica Tilda Swinton mi ha sempre detto 'we love and die alone', amiamo e moriamo in solitudine". Teme un'etichetta di scandalo per Queers (alla prima stampa anche qualche solitario buu) ? "Ha una complessità di significati diversi rispetto ad oggi. All'epoca di Burroughs, Queer voleva dire checca, frocio un termine denigratorio oppure persona strana, diversa. Moralmente? Non lo so, non mi sono mai posto i problemi della morale e non mi interessa. Queer per me è una profonda radicale storia d'amore che ci riporta alla condizione terminale di essere umani, cioè che siamo soli". Non è un film sugli anni'50 (peraltro ricostruiti con lo scenografo Stefano Baisi, il costumista Jonathan Anderson) "ma sull'universo di Burroughs, ricreato spero nel modo più profondo e dettagliato possibile. E se l'immagine estetica del film piace, è merito suo". Guadagnino ha cercato Daniel Craig come protagonista ("divino, attore sublime, magnifico anche a teatro,") convinto del suo rifiuto, "invece una settimana dopo faceva il film". E così il protagonista della saga di James Bond è diventato Lee, l'alter ego dello scrittore. "È la prova della mia vita dice il direttore della Mostra Barbera? Allora la mia carriera è andata! Ma se finisce qui è meglio che altrove", ha scherzato Craig con l'ANSA. Da anni "volevo lavorare con Guadagnino e quando si è presentata l'opportunità l'ho colta al volo". Dice Craig di non avere paura di spiazzare il pubblico con un personaggio omosessuale dopo un macho come Bond: "non ho alcun controllo sulla mia immagine, scelgo di interpretare ruoli che rappresentano una sfida, per me stesso e per il pubblico, cercando di essere il più interessante e creativo".

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O.Leclercq--JdB