In 18mila in tripudio per il rock dei Queens of Stone Age
A Milano un'ora e un quarto di energia dopo la paura di uno stop
(di Paolo Algisi) Un'ora e un quarto di rock intenso, ruvido, ispirato. Potrebbe sembrare poco ma diventa tantissimo se si tiene a mente che l'esibizione dei Queens of the Stone Age ieri a Milano sarebbe potuta saltare, al pari di quella di venerdì all'Ama Festival di Bassano del Grappa, a causa dei "problemi di salute" che si sono abbattuti sulla banda californiana. Invece, dopo aver tenuto per un giorno con il fiato sospeso i fan, l'organizzazione degli I-Days nel primo pomeriggio ha confermato la presenza del gruppo di Palm Desert, chetando la rabbia di chi, a poche ore dall'inizio del concerto, non sapeva ancora se avrebbe fatto un viaggio a vuoto. Alle 21.30, puntuali come un orologio svizzero, Joshua Homme e compagni hanno fatto il loro ingresso in scena, preceduti dalla scatenata esibizione del due britannico dei Royal Blood e accolti dal boato dei 18 mila fan che hanno riempito l'Ippodromo Snai, in quella che da terza è diventata la seconda tappa italiana di The End is Nero, tour con cui i 'Qotsa' stanno promuovendo il loro ottavo album 'In Times New Roman...'. "Buonanotte Milano" saluta Homme che, si racconta sotto al palco, avrebbe stretto i denti, imbottito di antidolorifici, pur di non dover cancellare l'ultimo show sul suolo italico, dopo il sold-out di giovedì alla cavea dell'Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone a Roma. La trascinante Little Sister, le trame sincopate di Smooth Sailing e l'allucinata My God is the Sun aprono una setlist di quindici pezzi sparati uno dopo l'altro, che fatica a riflettere la storia ventennale dei 'Qotsa' ma restituisce l'essenza di una band ascesa nell'olimpo del rock grazie a una miscela esplosiva e un sound originale, nato sulle ceneri dello stoner rock dei Kyuss ed evolutosi - tra influenze hard rock, metal, blues e psichedeliche - in qualcosa di più complesso e insofferente alle etichette. Quattro pezzi da In Times New Roman, tra cui la punkeggiante Paper Machete e la sinuosa Carnavoyer, tre da ...Like Clockwork' del 2013, e quattro da Songs For The Deaf, il capolavoro che ha consacrato i 'Qotsa' nel 2002, più qualche canzone dai restanti cinque album, come la ballata Make It With Chu, cantata da tutto il pubblico, e l'intrigante The Lost Art Of Keeping A Secret. Il finale è lasciato a Songs for the Deaf con le rabbiose You Think I Ain't Worth a Dollar, but I Feel like a Millionaire e Songs for The Dead, oltre alla travolgente No One Knows, simbolo della band di Palm Desert, con il ciuffo ribelle di Homme sempre lì, irrequieto e indomabile, a ricordarci di che pasta è fatta la sua musica.
E.Janssens--JdB