Journal De Bruxelles - In navigazione sul Vespucci, veliero senza tempo

In navigazione sul Vespucci, veliero senza tempo
In navigazione sul Vespucci, veliero senza tempo

In navigazione sul Vespucci, veliero senza tempo

Da Doha a Abu Dhabi, nel regno di nocchieri e marinai

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(dell'inviato Domenico Palesse) Caro diario, io e te non siamo mai andati particolarmente d'accordo. Lo so. Le tue pagine sono rimaste intonse per ormai quasi mezzo secolo, ma questa volta, da buon confessore, vorrei affidarti il racconto di un'esperienza che difficilmente potrò dimenticare. Un po' di tempo fa mi hanno proposto di imbarcarmi sull'Amerigo Vespucci, il fiore all'occhiello della Marina Militare, un veliero di quelli che si vedono ormai soltanto al cinema. Una proposta che, probabilmente, sarà stata caldeggiata da mio padre che da sempre mi rimprovera di non aver fatto la leva obbligatoria. "Ah, ai tempi miei". Memore di quelle parole sarei dovuto scappare a gambe levate, dirai tu, e invece - come un novello Ulisse - ho deciso di raccogliere l'invito, attratto dalle "sirene" della nave più bella del mondo. Per la prima volta ho seguito la cerimonia di chiusura di una delle tappe del tour mondiale dall'alto del ponte, a bordo di un prodigio dell'ingegneria navale che, a 93 anni, riesce ancora a solcare con eleganza i mari di tutto il globo. A Doha, in Qatar, ero io a salutare il pubblico in banchina, e non il contrario. "Poppa, molla e rientra". Il comandante impartisce gli ultimi ordini, i marinai riavvolgono le cime e si parte, direzione Abu Dhabi. E' mattina, su questa nave sono salito decine di volte e conosco qualche termine marinaresco, il necessario per evitare di finire in mare o essere redarguito dai nocchieri. Esperienza decisamente non consigliata. Rappresentano l'essenza primordiale del marinaio, alcuni sono a bordo anche da vent'anni. Conoscono ogni angolo della nave, ogni segreto e ogni leggenda. Per loro questa è casa. Da questo momento siamo in navigazione e non essere d'intralcio è la cosa a cui cerco di badare di più. In plancia è in corso il briefing di manovra, si studiano le carte e si decide la rotta da seguire. La nave lentamente lascia il porto e il suono della banda in banchina si fa sempre più flebile, quasi impercettibile, fino a sparire nel rumore delle onde. Come sempre mi perdo ad ammirare legni e ottoni che si legano insieme in una sorta di mescola dal sapore antico. Non mi ci abituerò mai. Solo più tardi mi accorgo che sulla mia testa c'è una vela aperta. Gigantesca e gonfia, sospinta del vento del golfo Persico. Non è scontato, anche per un veliero come il Vespucci (rigorosamente al maschile, per via dell'antica denominazione delle imbarcazioni che una volta venivano chiamate 'regio legno') poter navigare con l'ausilio delle vele. Approfitto dell'occasione per sbirciare un po' in giro, nella pancia della nave, dove gli spazi si fanno sempre più angusti e ogni centimetro quadrato ha una sua funzione. Ci sono le mense e i camerini, la lavanderia e la cucina, ma anche piccole palestre ricavate magari tra un argano e la macchina da cucire con cui si sistemano le vele di olona. Non soffro di mal di mare - anzi naupatia, come mi ha spiegato l'infermiera a bordo - ma la sonnolenza ha la meglio. Il sole è ormai calato e i ponti, che avevo sempre visto illuminati per le visite a bordo, si colorano di un rosso tenue che accompagna chi resterà sveglio per tutta la notte. Quassù il lavoro non conosce sosta. Quando ho accettato di imbarcarmi ho posto una condizione, quella di dormire su un'amaca, come fanno gli allievi dell'accademia navale durante i tre mesi di campagna a bordo della nave scuola. Scendo in terza squadra, così è chiamata l'area dove vivono gli aspiranti ufficiali, e trovo, legato tra due tubi al soffitto, quello che sarà il mio letto per questa notte. Prima, però, ho ancora il tempo di fare una chiacchierata con il comandante che mi accompagna sulla prora nel buio più pesto che abbia mai visto. Le parole si confondono col vento, mentre gli occhi si sgranano nel tentativo di vincere l'oscurità. Non c'è nulla da fare. Ora, caro diario, dovrei descriverti a parole quello che ho provato guardando il cielo. Dovrei parlarti delle stelle che sembravano poggiarsi sulle mie mani. Del respiro rotto dal vento. Ma questa, amico mio, è una sensazione che resta a bordo di questa nave, dove il tempo sembra sospeso mentre fluttua nel mare.

R.Cornelis--JdB